Francesca da Rimini
Amore e tradimento
I versi d’amore più belli e struggenti li scrisse Dante nella Divina Commedia, nel Canto V dell’Inferno. Il poeta, guidato da Virgilio, s’avvia verso la bolgia dei lussuriosi che subiscono la pena in base al peccato commesso: se in vita si sono lasciati trascinare dal vento della passione, nelle viscere della dannazione senza fine sono in balia della bufera che li trasporta qua e là senza sosta.
<< Io venni in un luogo d’ogni luce muto >> disse Dante mentre si addentrava nell’oltretomba, contrassegnata dall’aura nera.
Dante incontra i lussuriosi: Didone figura affascinante dell’Eneide di Virgilio, Semiramide, Cleopatra, Elena che scatenò la guerra di Troia… e tra questi ci sono anche i due romagnoli Paolo e Francesca.
Si ritiene che Dante, da ragazzo, venne a conoscenza del dramma in terra di Romagna e ne rimase impressionato. Si pensa che il dramma sia stato compiuto alla Rocca di Rimini, qualcuno ipotizza anche quella di Gradara.
Francesca da Polenta, figlia del governatore di Ravenna doveva sposare il gobbo e maligno Gianciotto Malatesta, per convenienza politico-diplomatica. Le due caste pattuirono l’unione coniugale e Francesca andò nella dimora dei Malatesta per conoscere il futuro sposo. Ma questi vergognandosi dei propri difetti fisici, le fece credere che si sarebbe unita in matrimonio all’uomo che la ravennate aveva intravisto, ossia il fratello Paolo, detto il “Bello”.
Il matrimonio si celebrò, ma pare che Francesca non avesse visto letto bene i documenti era evidente che lo sposo non sarebbe stato Paolo. Lo scoprì dopo, a Rimini, al cospetto del vero coniuge e provò ribrezzo.
Nel suo cuore s’era ormai impressa indelebilmente l’immagine dell’avvenente coniato.
Rivolgendosi a Virgilio, Dante dice:
I’ cominciai: << Poeta, volentieri
Parlerei a que’ due che insieme vanno,
E paion sì al vento essere leggieri.
Francesca e Paolo volteggiano ininterrottamente dentro il vento, loro definitivo padrone. Sono le uniche anime dannate a essere insieme.
Francesca si limita a raccontare con voce flebile, quieta e rassegnata quella sorte che la sottrasse al mondo assieme al cognato-amante. C’è tutta la forza possente, dolce e inesorabile, dell’amore nella terzina che segue:
Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
Mi prese del costui piacer sì forte,
Che, come vedi, ancor non m’abbandona…
Così come Lancillotto, l’eroe della Tavola Rotonda, accosta le sue labbra a quelle di Ginevra, così Paolo Malatesta con Francesca. Il bacio spalanca le porte della passione, la lotta tra il dovere e il sentimento si è conclusa, ormai.
Galeotto fu il libro, e chi lo scrisse:
Quel giorno più non vi leggemmo avante.
Gianciotto irrompe in quella camera. Francesca e Paolo hanno poco prima avvertito rumori sospetti e allora il più giovane dei fratelli Malatesta si nasconde in una botola, chiedendo alla sua amante di aprire l’uscio. Gianciotto entra, si guarda attorno e nota che dal pertugio spunta una parte del corsetto del fratello. Lo sposo tradito si avventa contro il traditore, ma Francesca gli fa scudo con il suo corpo e il pugnale la trafigge. La stessa sorte capiterà a Paolo qualche secondo dopo.