Giovanni Pascoli
Il fanciullino tragico
Giovanni Pascoli nasce a San Mauro di Romagna il 31 dicembre del 1855, dal ravennate Ruggero e da Caterina Vincenzi Alloccatelli, discendente da un nobile casato di Sogliano al Rubicone. E’ il quarto di dieci fratelli.
Giovanni vive un’infanzia serena e agiata nel paese natale. E’ ancora bambino quando la famiglia subisce un rovescio di fortuna, sia economica sia emotiva, con l’uccisione del padre, freddato il 10 agosto 1867 con una fucilata mentre sta rientrando a casa da Cesena, dove avrebbe dovuto formalizzare, dopo tredici anni di reggenza, la nomina di amministratore dei beni dei principi di Torlonia.
<< O cavallina, cavallina storna / che portavi colui che non ritorna … con negli orecchi l’eco degli scoppi, / seguitasti la via tra gli alti pioppi: / lo riportavi tra il morir del sole, / perché udissimo noi le sue parole >>.
Questi sono i versi della poesia La Cavallina storna, in cui Pascoli immagina il calesse fermarsi, con il cadavere di suo padre, proprio davanti alla casa di San Mauro. L’assassino non fu mai arrestato, eppure Giovanni e molte altre persone del circondario conoscessero il nome del killer, non a caso nominato poi amministratore dei beni terrieri dei Torlonia. A quei tempi in Romagna scorrazzavano bande pericolose che non disdegnano pugnali e fucili e la polizia non arrivando ad individuare un colpevole, attribuiranno a delinquenti ignoti questo efferato delitto.
Lo shock psichico si fa duplice e si aggrava, dilatandosi e complicandosi nel tempo, quando l’anno successivo all’assassinio del padre muore la madre. Il legame del poeta con la madre era fortissimo. Significativi due suoi toccanti versi:
<< O tu che sei tra i vivi / solo perché ti penso >>. La poesia si intitola A una morta. Questi versi, sempre presenti nella sua vena creativa, lo accompagneranno fino alla fine dei suoi giorni.
Tali avvenimenti lo legheranno fortemente alla sua terra e in particolare alla sua famiglia, quel “nido” da lui tanto amato e protetto, che si ritroverà in molte sue poesie.
Passano alcuni anni e dopo l’esame di maturità Giovanni si iscrive all’università di Bologna, facendosi da subito stimare dai professori, in modo particolare da Carducci. Per raccimolare denaro in quel periodo, accetta di dare lezioni a uno studente di terza, Severino Ferrari, che per forte legame di amicizia che si instaurerà tra i due, il poeta vorrà ricordare nella poesia Romagna.
Nel 1882, dopo nove anni, discute la tesi di Filologia, incentrata sulla figura e sulla poesia del Greco Alceo, e si laurea con 110 e lode, davanti a studenti che lo applaudono.
Nel frattempo grazie all’appoggio di Carducci troverà impiego come insegnante, continuando la produzione poetica. E’ ormai personaggio stimato e famoso, tanto è vero che riceve la nomina a cavaliere della Corona d’Italia
Conosce D’Annunzio. Il Vate di Pescara ha parole di elogio per il collega romagnolo. Pascoli ricambia la simpatia, al limite dell’adulazione. Durante il periodo toscano, Giovanni gli manda una copia dei suoi Poemi Conviviali, il quale risponde rincuorandolo ed esaltandolo: << Non mi ricordo di aver avuto tanta ebbrezza da un altro libro di poesie … tu hai la potenza di trascendere certi limiti che parevano insuperabili nel mondo ideale… >>.
La notorietà lo renderà famoso ma mai ricco e per la prima volta nella sua vita si ritroverà senza affanni economici, grazie alla vendita di duemila copie vendute dei Poemi Conviviali.
Per tutta la vita dichiarerà di scrivere con il fine di consolare se stesso dalla miseria ineluttabile del vivere, ed insegnare agli altri la consolazione che ha trovato in se stesso.
Pascoli diverrà, dopo una vita di stenti, ossessioni, sensi di colpa e pulsioni represse, uno dei maggiori esponenti del Novecento. La sua poesia si compone di versi leggeri, semplici, è attenta il più delle volte, e in modo vistosamente lezioso, ai particolari della vita familiare e quotidiana. E’ un cinguettio mesto, talvolta con una musicalità che pone in evidenza una visione fosca dell’esistenza. Questo ci dimostra l’importanza e la potenza dell’Arte, capace di sublimare le miserie della vita e anzi trasformarle in Bellezza confortante per la propria esistenza e quella altrui.
A questo proposito vi proponiamo una lettura manifesto della sua poetica:
La mia sera
Il giorno fu pieno di lampi;
ma ora verranno le stelle,
le tacite stelle. Nei campi
c’è un breve gre gre di ranelle.
Le tremule foglie dei pioppi
trascorre una gioia leggiera.
Nel giorno, che lampi! che scoppi!
Che pace, la sera!Si devono aprire le stelle
nel cielo sì tenero e vivo.
Là, presso le allegre ranelle,
singhiozza monotono un rivo.
Di tutto quel cupo tumulto,
di tutta quell’aspra bufera,
non resta che un dolce singulto
nell’umida sera.È, quella infinita tempesta,
finita in un rivo canoro.
Dei fulmini fragili restano
cirri di porpora e d’oro.O stanco dolore, riposa!
La nube nel giorno più nera
fu quella che vedo più rosa
nell’ultima sera.Che voli di rondini intorno!
che gridi nell’aria serena!
La fame del povero giorno
prolunga la garrula cena.
La parte, sì piccola, i nidi
nel giorno non l’ebbero intera.
Nè io… e che voli, che gridi,
mia limpida sera!Don… Don… E mi dicono, Dormi!
mi cantano, Dormi! sussurrano,
Dormi! bisbigliano, Dormi!
là, voci di tenebra azzurra…
Mi sembrano canti di culla,
che fanno ch’io torni com’era…
sentivo mia madre… poi nulla…
sul far della sera.
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Consigliata è la visita a San Mauro Pascoli (FC) del:
Museo Casa Pascoli che rappresenta il centro della memoria pascoliana, il ricordo dei momenti trascorsi a San Mauro durante l’infanzia e la giovinezza rendono questo luogo carico di suggestioni.
La poesia di Giovanni Pascoli nasce proprio qui.