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I mestieri che hanno fatto la storia di Cattolica

Il mestiere del sardelliere, la storia del motopeschereccio Rex, che nelle sue reti pesca un aereoplano e la tecnica della lampara

 

 

Fino agli anni 50’ la pesca della sardina con metodo tradizionale, cioè con rete da posta (rete disposta verticalmente e spesso molto lunga che viene lasciata in mare lasciando che siano le prede a raggiungerla ed a rimanervi impigliate) era la tecnica più utilizzata dai pescatori cattolichini.

La pesca della sardina determinò un notevole sviluppo economico per Cattolica. Le ragazze sposavano volentieri i giovani sardellieri, che erano vestiti di gabardine in estate e con il cappotto blu e sciarpa in inverno. In tutta la cittadina, molte officine meccaniche si specializzarono nei motori per pescherecci, aprirono botteghe per la vendita e la tinta delle reti e aprirono ditte per l’industria conserviera come l’Arrigoni, l’Ampelea, la Marabotti… Nell’immediato dopoguerra essendoci pochissimi sbocchi lavorativi, tutti volevano essere imbarcati sulle sardelliere.  Le ragazze che avevano i figli e membri della famiglia anziani a cui badare e che quindi non potevano essere impegnate in un lavoro continuativo in fabbrica, arrotondavano le entrate di casa, riparando le reti sulla banchina del porto. I sardellieri tornavano al porto con le reti da pesca strappate perché impigliate sul fondale roccioso o perché assalite dai delfini e quindi le mogli munite di grandi cappelli per proteggersi dal sole, li aspettavano lungo le banchine del porto per stendere e rammendare le reti, poiché ogni rete rotta rappresentava una giornata di pesca persa. Dal faro di Gabicce in su, stendevano le reti di cotone sul molo. Le reti sbarcate dalla barca erano bagnate ed occorreva asciugarle senza esporle più del dovuto al sole, altrimenti si sarebbero rovinate e rese inutilizzabili. Il cotone infatti a differenza delle attuali reti in nylon, diventava resistente quanto più era umido.

Una barca specializzata in questa pesca era il Rex, una lancione della lunghezza di 13,39 metri, costruita nel 1939 nei cantieri Cola di Gabicce Mare. Il comandante di questo motopeschereccio era Mario Michelini, una dei migliori Paròn (comandanti) di Cattolica e Gabicce. Il Rex ha svolto la pesca della sarda con reti da posta, a strascico, con sfogliare, tartane e in coppia (a cocia) con un’altra barca, sempre a strascico per la pesca del pesce azzurro. Sul Rex i rischi e i pericoli era all’ordine del giorno, poiché si pescava molto al largo dalla costa, con attrezzature e tecnologie assenti. Non esistevano radar o satelliti. Si poteva contare solo sull’esperienza del Paròn, sulla bussola, il barometro e lo scandaglio a mano, con cui si stabiliva la profondità del mare e la consistenza del fango del suolo marino, che poteva dare indicazioni sulla posizione in cui ci si trovava in mezzo al mare. Se il barometro calava di due o tre linee nell’arco di mezz’ora, questo poteva significare il segno inequivocabile dell’arrivo del mal tempo, per questo i Paròn consultavano più volte al giorno questo strumento.

Il Rex, pescava spesso al largo di Ravenna e Goro, zone di pesca molto ricche di pesce azzurro in quegli anni. Dopo meno di un anno di attività, il Rex fu requisito dallo Stato per trasportare a Pesaro con il rimorchio le sagome dei carri armati per le esercitazioni di tiro al poligono.

Sempre a scopo di supporto per gli aventi bellici, fu impiegato anche in Albania a Valona e a Corfù in Grecia.

Finita la guerra, il nostro mare era cosparso di residui bellici e in due occasioni il Rex ebbe a che fare con ciò che rimaneva della Seconda Guerra mondiale. Durante una mattinata di pesca, i membri dell’equipaggio, trovarono impigliato nelle reti, un piccolo aereo di ricognizione che non fu facile liberare dal groviglio di cordame. In un’altra occasione pescarono una bomba di aereo, che fortunatamente era disinnescata. Non era raro nel dopoguerra che i pescatori tirassero a bordo delle proprie navi, bombe o mine marine, che in alcuni casi furono la causa di vere e proprie disgrazie. Un mio lontano parente in una battuta di pesca incappò proprio in una mina, che fece saltare per aria l’intera barca con tutti membri dell’equipaggio. Dalla parte della mia faglia, i Cerri (cugini di mio zio Renato) rimasti senza capofamiglia e senza barca, senza lavoro e nella più totale disperazione e povertà emigrarono in Canada.

In seguito allo sviluppo del turismo sulla Riviera Romagnola e quindi anche a Cattolica, il comandante del Rex, Mario costruisce un piccolo hotel agli albori del boom economico e con in figli decide di intraprendere questa nuova attività. Costruisce l’albergo anche grazie ai ricavi ottenuti dalla vendita del Rex, che viene venduto fuori da Cattolica. Viene successivamente riacquistato da un comandante cattolichino che lo restaura e ne continua l’utilizzo come barca per la pesca delle sarde con rete da posta. La concorrenza con le Lampare però ne decretano il declino, infatti ciascuna Lampara riusciva a portare in porto dalle 1000 alle 1500 casse di alici, un numero inimmaginabile per il Rex. Il declino del Rex oltre a decretare la fine di questa barca, ne decreta anche la fine della tecnica di pesca, infatti la tecnica della rete da posta viene sostituita dalla tecnica della lampara più remunerativa per l’epoca. I Rex viene demolito nel 1996, rimane la testimonianza della sua esistenza nelle foto o nei racconti dei vecchi marinai.

Motopeschereccio REX

Motopeschereccio REX

Una barca storica al porto di Cattolica

Una barca storica al porto di Cattolica

Al porto di Cattolica, i marinai e pescatori capirono che era arrivato il momento di cambiare rotta, utilizzando un nuovo metodo di pesca e specializzarsi quindi nella pesca della Lampara, dedicata al quasi esclusivamente alla pesca delle alici. Questa tecnica di pesca considerata “nuova” per i pescatori cattolichini, era in realtà già da tempo molto diffusa nel mar Tirreno e in tutto il Sud Italia ed era considerata molto remunerativa in fatto di guadagni in base all’importante quantità di pesce che si riusciva a pescare con quella tecnica. Una tecnica molto simile, è stata ritrovata rinvenuta in alcuni bassorilievi tombali nell’antico Egitto, di più di duemila anni fa, in cui si vede chiaramente un equipaggio che utilizza una rete in cerchio sorretta da galleggianti.

La tecnica di pesca della Lampara, avveniva principalmente nelle notti senza luna con l’ausilio di potenti fari ed una reta lunga più di cento metri, che calata dalla barca madre, doveva formare un cerchio per poi tornare al punto di partenza. Il pesce veniva attirato dai potenti fari che erano posizionati sulla barca madre o sulle scialuppe a remi e poi imprigionato nelle reti. Dalla barca madre dopo aver avvistato il banco di pesci, si calavano in mare le lance (o gozzi) le quali comunicavano alla barca principale che il pesce abbagliato dai fari si era raggruppato. Si utilizzavano solitamente sei fari, due per ogni lancia e due sulla barca madre. La tre barche si disponevano tra loro a circa cinquanta/settanta metri fino a formare un triangolo e si cercava di raggruppare il pesce . Una volta raggruppati i diversi banchi di pesce azzurro sotto le chiglie delle tre barche, le lance o gozzi si avvicinavano fino a quasi toccarsi ed a questo punto,  il capitano decideva se calare le reti, in caso affermativo, da quest’ultima veniva gettato in mare il cianciolo (una rete tesa in verticale, che veniva retta in superficie da una corda in cui erano inseriti tanti galleggianti di sughero per quanto era lunga la corda, mentre nell’estremità inferiore era tenuta tesa da tanti piccoli piombi, fino a formare una parete di rete) . Una volta che il pesce finiva nella rete, le lampare uscivano dal cerchio di rete e dalla barca madre venivano tirate le corde,  andando a stringere la rete sottostante a modi “sacco” e imprigionando il banco di pesci, che poi veniva issato a bordo.

 

La pesca alle sarde con la tecnica della Lampara si svolgeva  tutto l’anno (fatta eccezione per le notti di luna piena) principalmente da aprile ad ottobre in annate non di magra, in cui il pescato non era molto abbondante poteva succedere, che i pescatori alternassero la pesca delle vongole a quella delle alici.

Si partiva alla sera ed in assenza di tecnologia, si effettuavano i cosiddetti “provini” per individuare i banchi di pesce, che consistevano in delle vere e proprie prove in cui veniva calata la rete nei punti di cattura ritenuti pescosi dai marinai più esperti. La sola esperienza dei marinai permetteva di trovare i punti di cattura migliori e quando questo non accadeva, si cambiava continuamente posizione, salpando da un punto ad un altro, ogni circa due ore, finchè non si trovava il punto più adatto e pescoso.   Negli anni “buoni” ci si spingeva fino alle acque nei pressi di Pescara, anche più volte al mese nel tentativo di realizzare buone battute di pesca. Capitava di spingersi da Cesenatico ad Ancona finchè non si localizzava il branco. L’ultimo calo delle reti avveniva dopo sul nascere dell’alba. In mare il pasto più frequente era la cosiddetta “rustida d’sardella” (sardella arrostita), preparata con pesce rovinato dalle reti e quindi non vendibile sui banchi della pescheria.

La pesca della lampara tramontò a Cattolica, quando il guadagno venne meno, spostarsi a motore per tante miglia in cerca di banchi di pesce sempre più rari stava diventando un costo insostenibile e i ricavi non era più sufficienti a contenere le spese. A causare la carenza del pescato furono soprattutto le volenti di Porto Garibaldi e Chioggia che facevano una pesca indiscriminata, catturando pesce di ogni pezzatura per poi venderlo alle industrie ad un prezzo unitario pattuito precedentemente.

Una barca tutt’ora in attività nata per la pesca alla lampara, è il motopeschereccio Eugenio Pozzi, una barca di circa 60 tonnellate, molto adatta a questo tipo di pesca. All’epoca era una delle migliori imbarcazioni per la pesca alla lampara.