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I mestieri dimenticati

I carrettieri e lo squero

 

Quando si pensa al mare viene subito in mente la barca, ma a Cattolica esisteva anche il mondo del carretto legato al mondo della pesca. I carrettieri o portatori di pesce (portadùr), attendevano la barca sulla banchina del porto, poi caricavano il pesce sul proprio carretto e lo portavano al mercato per la vendita all’ingrosso e al minut.

C’era la corsa per arrivare per primi al mercato del ittico di Piazza Mercato e siccome non esistevano sistemi di trasporto refrigerati, occorreva sbrigarsi a portare il pesce per poterlo mantenere fresco e venderlo ad un prezzo maggiore. Il mestiere del carrettiere è una figura storica e fondamentale che ha accompagnato la marineria già dagli anni trenta fino agli anni cinquanta. Come mezzo di trazione si ricorreva agli asini, ma in alcuni casi erano proprio i carrettieri stessi che trainavano a braccia e gambe questi carretti. Attraverso una cinghia che passava sotto le spalle il carrettiere trainava con l’aiuto della moglie il carro. I carrettieri non ricevevano compensi in denaro, in alcuni casi percepivano una minima parte al quintale, più frequentemente venivano ricompensati con l’offerta di pesce, la cosiddetta musena, che consisteva in canocchie, paganelli, seppie… Il mezzo di trasporto usato era un normale carretto con due stanghe laterali. Tra una tavola e l’altra del piano del carretto c’era uno spazio vuoto della larghezza di 5 o 6 centimetri, sotto il quale era fissata una rete convessa stesa per tutta la lunghezza del carro e serviva da cesto per il pesce in eccesso che dalle casse di legno piene, andava a finire nella rete sottostante. I pescatori sapeva di questo “stratagemma” dei carrettieri ma il pesce che finiva nelle reti non era molto e quindi glielo abbonavano come un’ulteriore ricompensa. Alcuni carrettieri abituati a correre per arrivare al mercato con il pesce fresco, a volte prendevano di proposito delle buche o dei dossi con la ruota del carretto per far cadere il pesce che si infilava nella rete sottostante. La miseria e la povertà in quegli anni era un male comune e poter prendere quel poco di pesce in più era importante per poter sfamare le proprie famiglie.

Il mercato del pesce poi si spostò nel Piazzale Darsena e i carretti furono sostituiti dall’Ape della Piaggio, che in breve tempo divenne il mezzo di trasporto principale per il pesce.

LO SQUERO

Nello squero lavoravano carpentieri e calafati, detti Galafà. Erano dei veri e propri Maestri S’ascia, che senza alcun progetto e solo grazie alla loro lunga esperienza tramandata da generazioni e alla loro straordinaria abilità manuale, costruivano solide barche in legno, capaci di tenere anche il mare più impervio. Tra le altre figure fondamentali per la costrizione della barca vi erano anche gli alberanti, i velai, i bozzellari, i fabbri e i canapini. Per costruire lo scafo della barca, veniva utilizzato un particolare tipo di quercia da opera privo di nodi, di cui era ricco il nostro entroterra.

Mentre il legno di pino, larice e abete era utilizzato per gli alberi e le rifiniture. Le querce, segnate e abbattute, venivano trasportate nel cantiere mediante un carro con due ruote altissime e una lunga stanga, trainato da una coppia di buoi. I grossi tronchi venivano posti su appositi cavalletti, mentre i segantini provvedevano ad effettuare i tagli, ricorrendo a due tipi di seghe: a lama libera o con telaio, che venivano maneggiate a due o quattro mani. Il legname lavorato prima di essere posto in opera, veniva lasciato a stagionare per un lungo periodo.

In passato i cantieri di Cattolica e Gabicce hanno costruito navi da trasporto e da pesca anche di notevole tonnellaggio. Tra le brache varate a Cattolica si ricordano: le “Due Rosine” del cantiere di Roberto Franchi, il “Giovanni Pascoli” del cantiere di Guidi Rondolini, il ” San Marco” del cantiere di Giuseppe Della Santina e tanti altri.