Il castello di Gabicce Monte
L’ultimo castrum prima della Pianura Padana
Il territorio di Gabicce oggi distinto in “Mare” o “Monte” è noto fin dall’epoca dell’Impero Romano. Infatti nella piana di Colombarone transita l’antica via Flaminia e l’insenatura della Baia Vallugola era un importante scalo commerciale marittimo e lo testimoniano i numerosi ritrovamenti di anfore e vasi vinari.
Del castrum di Gabicce Monte costruito sull’ultimo promontorio della Pianura Padana, si hanno notizie nei secoli del medioevo (sec. X). Da una bolla pontificia del 998, Gregorio V attribuiva all’ Arcivescovo di Ravenna pieni poteri decisionali sul territorio di Gabicce che rimase sotto l’autorità della sua Chiesa fino al 1271 anno in cui, secondo alcune fonti storiche, il Castello di Gabicce si alleò con Rimini e vi si sottomise per sfuggire ai continui soprusi da parte del Comune di Pesaro.
Nato come baluardo difensivo per proteggersi dai briganti della vallata e come punto di avvistamento per prevenire le frequenti invasioni dei pirati turchi dal mare, come si è detto sorgeva sulla sommità del promontorio di Gabicce Monte e nel 1260 si accerta l’esistenza di un rione al di fuori della cinta muraria difensiva del borgo. Questo rione fuori delle mura è un prova che la popolazione gabiccese nel periodo del basso medioevo era superiore alla capacità abitativa del borgo, pertanto fu necessario espandersi oltre. Questo sviluppo urbanistico, dovuto ad un incremento demografico, che fu il risultato di un programma di colonizzazione e di trasformazione agraria del territorio, venne promosso soprattutto dai monasteri ravennati. Le ridotte dimensioni delle cinte fortificate del borgo, resero necessaria nel corso del Duecento, la formazione di questi ampliamenti esterni composti da poche casupole. Queste ultime rimanevano distribuite nel rione denominato: Girone. A forma semicircolare che riprendeva la morfologia del luogo e rimaneva ubicato nella parte più alta. I borghi segnalati all’interno del castello invece, denominati , Borgo della Fonte e Borgo Reale, erano composti da caseggiati separati dall’asse viario principale.
All’insediamento fortificato si accedeva attraverso un’unica porta, ed era attraversato da un’asse viaria centrale di accentuata pendenza, che rappresentava il principale collegamento attraverso il quale si raggiungeva la sommità di forma circolare del borgo. La conformazione ovoidale dell’insediamento, era obbligata dalla morfologia del luogo, così come anche i fabbricati si adattavano alle pendenze e alle curve di livello del posto in cui sorgevano. Nel XV secolo il castrum appariva parzialmente circondato e fortificato da una cinta in muratura e circondato da un fossato di forma semicircolare. Il borgo sul lato del mare invece, godeva invece della protezione naturali delle ripe scoscese e impervie. Sul punto più elevato del castrum, si segnalava la presenza di una dimora fortificata costruita su di una sommità confinante con le ripe scoscese.
Questa dimora fortificata rappresentava la residenza dei più antichi castellani immessi nel possesso dei beni arcivescovili (nomine feudi). Ai piedi della dimora, si erano poi sviluppati agglomerati edilizi protetti da fossati e dalle ripe, che rappresentavano le vera e più sicura difesa naturale della dimora stessa.
La presenza di mura castellane è ben documentata nel ‘400, infatti in un documento noto del XII e XIII secolo viene fatto riferimento a una cinta muraria. Molto probabilmente però, come era consuetudine anche in altri centri abitati fortificati, come Gradara o Granarola, questi erano difesi inizialmente da fossati e terrapieni che costituivano la principale protezione e la dotazione difensiva minima per questi luoghi, prima della costruzione di vere e proprie cinte murarie.
Al castello come si è detto, si accedeva attraverso l’unica porta affacciata sulla strada d’accesso, che separava in due specifiche zone abitative la forma ovoidale dell’insediamento castrense. Attorno alla porta castellana e in prossimità di questa si documentano la presenza di alcuni elementi e strutture facenti parte del sistema difensivo, come: una torre, uno scalone, un fossato ed un ponte.
Di norma in tutti i centri fortificati medio – piccoli, come quello di Gabicce, per ragioni militari veniva lasciato libero un corridoio che distanziava i caseggiati dal circuito difensivo. La necessità di maggiore spazio da parte degli abitanti però, spingeva a richiedere alle autorità concessioni edilizie che permettessero di incrementare i volumi abitatiti delle domus, sfruttando sia terreni esistenti, sia il corridoio lasciato libero, ma anche l’appoggio delle mura stesse, contro le quali avvennero questi ampliamenti.
Nel castrum di Gabicce, viene documentata anche l’esistenza di un’area riservata alle fosse ipogee per la conservazione dei cereali. In un luogo specifico, adiacente al fabbricato della chiesa, era praticata la macellazione del bestiame. In prossimità del centro abitato e quindi fuori dalle mura, sorgeva la chiesa di Sant’Ermete e nelle vicinanze un mulino da olio. Questa chiesa millenaria di cui si hanno notizie già dal 998 D.C. , è di origine romanica. L’aspetto odierno è frutto delle ristrutturazioni avvenute nel 1700. Al suo interno si trovano un crocifisso di pregevole fattura, dipinto su tavola da attribuire alla scuola Giottesca e una Madonna del Latte proveniente dalla Chiesa S. Maria fuori dalla porta, demolita negli anni ’60 per creare lo spazio per l’attuale Via dell’Orizzonte e l’attuale piazza.
All’interno delle mura c’era invece la chiesa di San Nicolò, poi rinominata San Silvestro. Nel XVII secolo viene segnalata all’interno delle mura del castello, anche la presenza della chiesa di Santa Maria, che nel XVIII viene denominata chiesa di Sant’Antonio abbate.
Tra il Cinquecento e il Settecento si documentano all’interno del castrum anche la presenza di una domus del fornaio, con annessa la bottega, la stalla e una cisterna. Esisteva fuori dalle mura una ghiacciaia per la conservazione della neve. Nel medioevo per la sua posizione strategica il borgo di Gabicce Monte è stato anche un Ospitale, cioè un luogo di ricovero per viandanti, pellegrini, ammalati e poveri in cui fermarsi a rifocillarsi e riposarsi. Sempre negli anni vicini al 1500, vanno ricordati due rinomati ceramisti dell’epoca che avevano la bottega all’interno delle mura: Girolamo e Giacomo Lanfranco. Padre e figlio furono tra i primi al mondo ad utilizzare l’oro come pigmento o decorazione delle maioliche. Alcune opere di questi artisti famosi all’epoca, sono esposte al British Museum.
La fortezza di Gabicce ebbe una storia di grandi “dominazioni”. Dall’Arcivescovado di Ravenna, passa in feudo a Orazio Floridi di Fano per poi tornare alla giurisdizione della Chiesa di Ravenna, passare poi sotto il dominio dei Malatesta, poi sotto quello degli Sforza, quello dei Montefeltro ed in fine nelle mani dei Della Rovere che nel 1625 la consegnarono in feudo ad Ottaviano Mamiani.
Dal 1631 il Castello di Gabicce rimarrà per tre secoli nelle mani dello Stato Pontificio. Successivamente subirà un lento declino che lo porterà fino ai giorni attuali. Lo sfruttamento della costa ed il conseguente sviluppo dell’economia della pesca e soprattutto quella del turismo, cancellerà ogni traccia del passato per fare posto all’attuale insediamento di case, ristoranti, alberghi e attività, che rendo oggi Gabicce Monte, una delle località più suggestive e panoramiche dell’intera costa adriatica al confine con la riviera Romagnola. Gabicce Monte sorge a 130 metri sul livello del mare e per la forma del golfo e il suo panorama affacciato sul mare e sulla costa romagnola, viene oggi definita una piccola “Capri dell’Adriatico”
La Piazza di Gabicce Monte è oggi intitolata a Valbruna, la città leggendaria che gli antichi abitanti sostengono sia sommersa al largo della baia naturale di Vallugola. Vicende misteriose e racconti tramandati oralmente hanno animato l’immaginario collettivo legato alla città sommersa. Ad alimentare questa leggenda nel corso degli anni, sono stati rinvenuti casualmente diversi reperti archeologici, che finivano intrappolati nelle reti dei pescatori. Studi e ricerche approfondite hanno però smentito questo falso mito, infatti i reperti di questa “Atlantide dell’ Adriatico”, si sono dimostrati essere cogoli, cioè blocchi di arenaria modellati dal mare fino ad assumere quelle forme particolari e ribattezzati sassi di Valbruna.
Oggi, come si è detto dell’ antico castello non rimane nulla ed un’idea di come si mostrava possiamo ricavarla osservando gli acquerelli di Francesco Mingucci e del Liverani, che lo hanno fedelmente riprodotto come appariva nel 1600 e nel 1800.