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Il cibo della povera gente

LE VONGOLE PIU’ BUONE DEL MONDO

La pesca delle vongole è documentata lungo le coste del medio-alto Adriatico almeno dal XIV secolo sia negli statuti di alcune comunità costiere, sia attraverso documenti d’archivio, soprattutto notarili (testamenti, compravendite, inventari post mortem e inventari dotali) che restituiscono informazioni anche in merito agli strumenti di lavoro.

in Romagna con il vocabolo tradizionale poveraccia (italiano regionale), derivante da una forma più arcaica (“peverazza”) attestata già nel XIV secolo. La “puraza”, come viene chiamata la vongola in dialetto romagnolo, non ha niente a che vedere etimologicamente, con la povertà, ma deriva da “peverazza” che a sua volta discende da “pevere”, ossia da pepe. Perché la valva della vongola nostrana ha l’aspetto e il colore del pepe macinato grossolanamente.  L’uso corrente del termine vongola, ha oggi definitivamente soppiantato il vocabolo regionale che ha contraddistinto l’alimento soprattutto nelle Marche settentrionali e nella Romagna, pertanto parla oggi non si parla più di “poveraccia” ma di “vongola adriatica”.

L’IMPORTANZA DELLE VONGOLE: Ieri “il cibo della gente povera” e oggi “la vongola più buona del mondo”.

La pesca delle poveracce è stata in passato una pesca per i poveri. Povera nei mezzi e per il basso costo del prodotto. Le poveracce sono le vongole: la conchiglia e il mollusco che vi risiede tra la doppia valva screziata e rugosa. La poveraccia vive nella sabbia e la si pesca dove il fondale non è alto: in tutta la costa romagnola il fondale è sabbioso e sprofonda dolcemente. La vita dei pescatori romagnoli, era un’economia di sussistenza, per il commercio porta a porta, per l’autoconsumo o per barattare altri alimenti con i contadini. In cambio di pesce povero, si otteneva grano o ortaggi. Negli anni Trenta, era importante la figura della pescivendola (spesso era la moglie del pescatore), che partiva a piedi, con il biroccio o in bici, con il pescato dei mariti caricato in cassette di legno o sacchi di juta. facendo decine di chilometri nell’entroterra per poter vendere il pesce a pochi centesimi. Le poveracce, pasto abituale della gente povera, costava due centesimi al chilo nel 1910. Le vongole, come tutti i pesci piccoli (sardine, seppie, paganelli…), rappresentavano una delle scarse fonti di sostentamento dei pescatori e delle proprie famiglie. I pesci più grandi e di maggior pregio venivano venduti invece dalle pescivendole alla pescheria. Questo alimento povero era affiancato da un modo di cucinare altrettanto povero. L’olio d’oliva era spesso sostituito dallo strutto, che era meno salutare ma rendeva i fritti più appetitosi. Al posto del pomodoro fresco, si utilizzava spesso la conserva di pomodoro. Un momento ottimo per la raccolta delle vongole era la pace dopo la tempesta o la burrasca, che lasciava sulla riva della spiaggia, dei veri e proprio doni per la povera gente. In quelle giornate si poteva ricavare un quantitativo di pesce sufficiente a sfamare l’intera famiglia per almeno una cena. Sulla riva infatti, si potevano raccogliere, vongole, granchi, cannelli, seppie… Il mare rappresentava una vera e propria ricchezza per la comunità dei pescatori, non solo per chi poteva permettersi una barca o chi faceva il pescatore di professione, ma anche per chi dalla spiaggia poteva ricavare il pesce donato dalle giornate di burrasca, i molluschi presenti sotto il suolo dei bassi fondali, ma anche la legna con cui alimentare il camino collocato nelle cucine, che quindi scaldava l’ambiente ma veniva utilizzato anche per cucinare.

La produzione concentrata nel tratto di mare fra bassa Romagna e litorale piceno che, nel corso del tempo (dal secolo XIV ad oggi), rimane il serbatoio privilegiato di estrazione delle vongole/poveracce soprattutto per la qualità alimentare e la migliore sapidità del prodotto, celebrate dai gastronomi nei testi di cucina e da imputarsi all’habitat costituito da fondali particolarmente adatti alla proliferazione del mollusco. Quella che per lungo tempo era vista come un cibo per i poveri è oggi considerata la vongola più buona e ricercata nel mondo.

Le vongole sono un alimento ricco di vitamine e sali minerali. Per 100 grammi contengono 11 grammi di proteine, 2,5 di carboidrati e 2,5 di grassi, vitamine del gruppo A, utili per pelle, capelli e vista contro i radicali liberi e l’invecchiamento cellulare, del gruppo C, per il rafforzamento del sistema immunitario, e vitamine B, e sali minerali come potassio (700 mg), magnesio, calcio, ferro e sodio.

L’EVOLUZIONE DELLA PESCA DELLE VONGOLE e LA GRANDE RIVOLUZIONE

La barca per la pesca delle vongole, era solitamente una battana di circa sei/otto metri di lunghezza, un’imbarcazione a spigolo e con fondo piatto e inizialmente non aveva motore, ma l’unica propulsione era la forma delle braccia esercitata attraverso i remi. L’equipaggio era composto da tre o quattro uomini. Si pescava sottocosta e una volta raggiunto il punto di pesca, con profondità di tre o quattro metri, si gettava l’ancora e successivamente si gettava in mare il ferro dotato di batecca (un’asta di albero di abete scortecciato e piallato sui nodi, lunga fino a dieci metri) e con un movimento continuo delle braccia in senso orizzontale rispetto al fondale, si arava la sabbia con la lama di questo strumento. Due membri dell’equipaggio contemporaneamente azionavano manualmente il verricello (sorta di argano ad asse orizzontale costituito essenzialmente da un tamburo rotante azionato a mano o a motore), che facendo perno ancora tirava verso di se la barca e il ferro della batecca che arava il fondale. Il quarto uomo dell’equipaggio si alternava con gli altri in una di queste operazioni, oppure se si occupava della cernita delle vongole pescate in base alle loro misura o dimensione. Le vongole fuori misura o rovinate, come accade anche oggi, venivano rigettate in mare, per preservare l’ecosistema o perché invendibili sul mercato.

Per poter salpare sulla barca il ferro, occorrevano due persone. Il pescato veniva versato in balle di juta, che potevano contenere più di cinquanta kg. Successivamente questi sacchi venivano portati all’asta del pesce. Questo sistema di pesca è durato fino agli anni 70’ , quando l’avvento del motore e della tecnologia ha rivoluzionato tutto il settore. Sui lancioni o lance da pesca, furono quindi introdotti i motori, determinanti nello sviluppo e nella crescita di questo settore, che non pescava più solo sotto costa, ma anche nell’Alto Adriatico. Il ferro venne modificato e dotato di una pompa a getto d’acqua, che favoriva la presa dei molluschi più in profondità nei banchi di sabbia, riuscendo così a pescare non solo le vongole ma anche i prelibati cannelli. L’introduzione di questa pompa turbosoffiante fu una vera e propria rivoluzione. Un brevetto e un’idea innovativa nacque proprio a Cattolica su intuizione di alcuni fabbri cattolichini (Maurizio Cevoli e Luciano Spimi), che ebbero l’intuizione di bloccare il ferro prima di salparlo, che rimaneva stretto tra due slitte inclinate per permettere lo svuotamento del pescato sulla coperta a prua. Il sistema dopo vari tentativi e elaborazioni raggiunse la massima efficienza e passo da avere un comando manuale ad avere un comando idraulico a pistone come le odierne barche vongolare. Tutta la manovra non si svolgeva più a forza di braccia e l’azione era meccanizzata. Sempre con l’ausilio del motore si procedeva anche alla cernita, con un vallo a 3-4 differenti misure di prodotto che usciva direttamente insaccato in contenitori di plastica da 25 kg. Questa sperimentazione fu l’origine del sistema odierno della pesca.