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Il nostro mare

L’Adriatico

un mare burbero e tempestoso in inverno

Ripartono i nostri appuntamenti settimanali del lunedì con le storie di mare che si sono svolte nel mar Adriatico. Avvenimenti che hanno avuto per teatro il medio e alto Adriatico, fra il XVI e XIX secolo e che videro come attori e avventurieri: marinai, pirati, corsari, royal marines e garibaldini.

Le vicende sono tratte da documenti autentici rinvenuti negli archivi e biblioteche delle città comprese nel territorio costiero e limitrofo che va da Venezia ad Ancona.

Nell’Adriatico un mare che sa essere impetuoso, non c’era mareggiata d’autunno, burrasca di primavera o fortunale estivo che non lasciasse relitti fra le onde e spoglie d’uomini sulle spiagge.

Ciò che più colpisce studiando i naufragi del passato è il loro alto numero rispetto agli scarsi accadimento odierni. Fattore determinante affinchè questi eventi catastrofici diminuirono fortunatamente fino a quasi scomparire è rappresentato dall’avvento della tecnologia. L’avvento del motore, ma anche del barometro e delle comunicazioni radio, ha debellato questa calamità naturale, come i vaccini hanno fatto con alcune malattie endemiche. In passato, su barche a vela e assenza di tecnologia, ci si affidava esclusivamente alla perizia del nauta e alla sua esperienza, ma si sa che le forze della natura non si lasciano teorizzare più di tanto.

Dalle cronache di varie epoche si potrebbe azzardare qualche fredda notazione statistica: ad esempio i mesi di novembre e marzo , che rappresentano il passaggio dall’autunno all’inverno e dall’inverno alla primavera, appaiono come quelli a più alto rischio per quanto riguarda la navigazione in mare e i relativi pericoli. In antichità il braccio di mare prospicente Cattolica era ritenuto particolarmente insidioso, a causa del moto ondoso che si scatenava in inverno con cambi meteo repentini e forti correnti che mettevano a dura prova il rientro in porto per i marinai che avevano la sfortuna di ritrovarsi in mare aperto in mezzo ad una burrasca improvvisa.

Altrettanto rischioso doveva essere nell’antichità il tratto di mare fra Cesenatico e Ravenna. All’altezza  del Savio negli anni Cinquanta, affiorarono dalle cave di ghiaia, diversi frammenti di navi romane uno dei quali è conservato nell’Antiquarium di Cesenatico.

D’altronde la pericolosità del nostro mare, con le sue improvvise e violente burrasche invernali erano noto anche agli autori classici. Uno dei fenomeni atmosferici tipici dell’alto Adriatico che è in parte causa della sua imprevedibilità e quindi della sua triste fama, è quello che i pescatori della costa occidentale chiamano trèsa oppure très, cioè striscia, per indicare quella nude densa, appiattita e carica di elettricità sospinta da un turbina che all’improvviso compare a tramontana sospinta da un turbine di vento. Lo storico Villani c’è ne restituisce una sintetica immagine:

il 4 maggio del 1664, prima che facesse giorno, una nube infiammata apparve a settentrione e con un improvviso turbine fece sollevare le onde tranquille del mare. Soffiando il vento provocò una tempesta così rabbiosa che neppure al più esperto marinaio fu data la possibilità di governare la barca. Così che inevitabilmente ci furono tanti naufraghi, essendo stato  impedito dall’incidente improvviso di abbassare le vele delle barche. Le barche affondarono con i marinai, alcune più robuste resistettero ma con sconquasso delle merci, altre prive di marinai andarono alla deriva in preda alla sorte.

La cronaca dello storico riminese tuttavia prosegue con un’appendice curiosa e sdrammatizzante: << in  questo frangente possiamo mettere in risalto o il giuoco della sorte o il miracolo a proposito di un marinaio di Chioggia che fu strappato dalla propria barca vicino a Rimini da un’ondata fortissima, gettato in acqua e subito riportato a bordo da un’onda successiva, a causa del vento furioso o per qualche intervento divino >>.

I naufragi erano eventi tutt’altro che insoliti dato l’alto numero di barche a vela che solcavano il mare: un rischio inevitabile per chi dalla pesca o dal traffico marittimo doveva trarre il quotidiano sostentamento. Non sempre l’esisto di un naufragio era infausto e chi riusciva a salvarsi oltre ai salti o alla propria abilità, spesso lo doveva al pronto intervento di un’altra barca o di un gruppo di salvataggio che risolveva favorevolmente la situazione.

Un delibera del comune di Cesenatico stabilisce e e decide di premiare con una medaglia d’argento il paron Pompei Romeo di Rimini, assieme alle otto persone compenti il suo equipaggio del suo trabaccolo da pesca Adelaide. Il merito è quello di aver salvato da sicura morte il settantenne Malatesta Giuseppe e il cinquantenne Varischi  Pasquale entrambi finiti in mare il pomeriggio del 23 ottobre 1890, in conseguenza di una tromba marina al largo del porto di Cesenatico dove stavano rientrando.

Il 21 aprile del 1872 col patrocinio del Principe di Savoia-Carignano, viene fondata la << Società italiana di soccorso naufraghi. >>