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La storia della marineria di Cattolica

I vecchi marinai

I vecchi marinai uscivano di casa al mattino presto e prima di andare in mare controllavano i rami delle tamerici e se questi erano umide, significava era scirocco, se invece erano asciutti era garbino.

A quel tempo, non esistevano le bussole a liquido come oggi, ma quelle dette a secco. Con la rosa dei venti su cui era applicato un ago magnetico dalla stabilità incerta a causa del moto ondoso prodotto dalle onde o ancor peggio dalle burrasche o temporali. L’indicazione data dalla bussola era quindi alquanto imprecisa. La bussola era un sistema all’aperto e veniva contenuta dentro una cassettina detta “chiesuola” che rendeva scomoda l’osservazione della bussola. Ci si orientava con la stella polare per fissare la rotta, perché spesso la bussola era inaffidabile o non funzionava bene.

Quando si cominciava la vita del marinaio, fissare la rotta con le stelle era una delle prime cose che occorreva imparare. I marinai più anziani dicevano che le stelle si muovono, eccetto la stella polare che indica il Nord (la Tramontana).

Un altro strumento fondamentale era lo scandaglio, una lunga corda che aveva all’estremità una palla di piombo rivestita di una rete. Lungo la corda vi erano le cosiddette “margherite”, dei nodi usati come punti di riferimento posizionati in maniera equidistante tra loro per indicare la profondità del mare dalla barca. Con questo strumento era possibile conoscere con precisione la profondità e la distanza dalla costa e il punto preciso del porto in cui si voleva approdare. La certezza della posizione in cui si trovava la barca era data dal tipo di fondale che rimaneva attaccato alla rete della sfera dello scandaglio. Se si raccoglieva fango o sabbia più o meno solida, questo aiutava a definire la distanza dai nostri porti.

I capi barca oltre ad essere chiamati “paròn”, venivano conosciuti anche come “buèr (bovari), il che stava a significare il legame forte della loro origine contadina e della loro terra, il loro primo mestiere prima di intraprendere il mestiere del pescatore. Era quindi profondo il legame tra il mestiere del contadino e quello del pescatore. Per tantissimi anni infatti il contadino era anche pescatore e le due attività erano in perfetta simbiosi. Il mestiere veniva tramandato di padre in figlio, per cui si costituivano delle vere e proprie dinastie di marinai. La vita del pescatore si svolgeva con cadenza abituale, tanto da sembrare scandito da un vero e proprio rituale. Durante l’estate, le barche a vela, costituite da equipaggi della stessa famiglia, restavano in mare a pescare tutto il giorno, i marinai mangiavano a bordo e rientravano verso sera con vento di scirocco. Arrivata la sera, dopo aver cenato a casa, portavano con sé un tozzo di pane a bordo per intingerlo nella “buonda” (acqua mescolata con il vino). Dopo aver fatto la rituale chiacchierata, accompagnata dalla buanda” il murè (mozzo) serviva per primo il paròn (capitano). Questi l’assaggiava e decideva se occorresse aggiungere altra acqua o altro vino.

Un’altra figura caratteristica di quel tempo era il “batlènt” (il capitano della lancia a vela destinata non alla pesca) , che si dedicava al trasporto del pesce dalla barca grande a terra. I battellanti erano anche i proprietari di piccole lance dedicate alla pesca costiera, che sfruttavano la brezza mattutina. La loro zona di pesca andava dalla punta di Gabicce Monte fino alla foce del fiume Conca a Cattolica. I battellanti costituivano una piccola, ma importante famiglia marinara con una loro flotta.

Durante la stagione estiva oltre all’attività di pesca i battellanti si dedicavano al turismo, proponendo gite in barca a tutti i villeggianti (oggi turisti) che volessero fare delle piacevoli gite in mare. Oggi queste lance sono state sostituite dai cutter ma il fascino della gita in mare rimane il medesimo.