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Le case dei marinai e dei pescatori

Storie di vita marinara cattolichina

La vita un tempo ruotava attorno alla via Pascoli, che in precedenza fu conosciuta come via Flaminia al tempo dei romani. Da sempre nelle varie epoche questa via ha rappresentato il fulcro della città di Cattolica, da cui il piccolo borgo medioevale si è poi esteso fino al mare e attraverso l’urbanizzazione più recente, nuove case e abitazioni tutt’attorno sono andate espandendosi per decenni sostituendo i campi con un nuovo centro abitato e nuovi quartieri, che costituiscono tutt’ora la città che oggi conosciamo.

La via Pascoli situata nella zona alta di Cattolica, è conosciuta dai cattolichini come “Catolga Vecia” (Cattolica Vecchia), giustificata dal fatto di essere stata la via da cui è nato il primo insediamento della città, da cui poi si è diramata l’espansione. Nei primi del 900’ nella Cattolica Vecchia di via Pascoli, vivevano soprattutto famiglie di marinai, gente povera e semplice. Uniti da un mestiere che dava sostentamento a tutta la comunità, erano come una grande famiglia, che si aiutava l’una con l’altra per potersi sfamare, in un’epoca in cui mangiare e sfamarsi non era per nulla scontato.

Le case dei marinai erano situate principalmente anche in altre tre vie: via Risorgimento, via Belvedere e via Del Porto. Affacciate direttamente sulla strada, con tetti bassi e le facciate pitturate con tenui colori di varie tonalità, che tutt’ora mantengono la stessa architettura e colorazione.

Via Del Porto

Via Del Porto

Via Risorgimento

Via Risorgimento

Via Belvedere

Via Belvedere

Nella Cattolica vecchia le donne si alzavano alla mattina e si pettinavano fuori casa, non c’erano segreti, la privacy non esisteva e non esistevano nemmeno i termini inglesi. La lingua principale era il “catulghin” cioè il dialetto romagnolo cattolichino. C’era molto più contatto umano,  voglia di stare insieme per condividere storie e quel poco di cibo che si riusciva a reperire attraverso la pesca o prodotti della terra e in rare occasioni carne rossa. Le porte delle case erano sempre aperte, nessuno chiudeva le porte con la serratura, si entrava e usciva di casa senza la paura che qualcuno entrasse a rubare (anche perché c’era ben poco da rubare), perché c’era più rispetto degli altri. Nelle case spoglie e arredate in modo essenziale, non c’erano le tende e i muri erano spesso affumicati e neri. Le stufe a legna scaldavano ma rilasciavano anche fumo che colorava le pareti in corrispondenza della canna fumaria. All’epoca c’era una miseria nera e anche quelle pareti sembrava volessero sottolineare questo fatto. I pescatori dediti alle sardelle, i sardellieri, spesso tornavano a casa dopo intere e faticose giornate in mare e trovavano ben poco da mangiare. Per vincere la fame dopo aver mangiato un boccone, si stendevano esausti a letto. Succedeva spesso che una volta sbarcati i sardellieri non andassero subito a casa per il pranzo, ma dovessero fermarsi a rammendare le reti da pesca bucate dai morsi dei delfini. Le donne non venendoli tornare gli portavano del pane imbevuto in un poco di vino e dell’acqua da bere, oppure una minestra brodosa.

Un tipico piatto della tradizione povera marinara era il brodetto di pesce, che veniva preparato con diversi tipi di pesce: triglie, mazzole, calamari, canocchie, seppiolini…

Alcuni al brodetto di pesce aggiungevano i chiodi di garofano, la conserva, l’olio d’oliva, un goccio di vino e qualche spicchio d’aglio. L’alternativa al brodetto era il pesce arrosto, che veniva impastato con pane grattugiato, olio d’oliva, pepe e sale.

L’appuntamento serale a cui tutti partecipavano ogni sera, era la veglia. Donne, uomini, ragazzi e ragazzi si riunivano generalmente nell’abitazione più spaziosa. Era un modo per stare insieme e divertirsi, raccontandosi barzellette, storie o avventure di mare o della vita quotidiana. Alla fine prima di tornare ognuno nelle proprie abitazioni si recitava il rosario.

Alla domenica i marinai se non avevano fatto la “canteda” (cantavano canzoni marinaresche), non uscivano in mare. I marinai alla domenica conversavano tra loro di politica, sport e si fermavano all’osteria a bere il vino. La sera stessa brilli e allegri per il vino bevuto, andavano alla Piazza Nettuno e si mettevano a cantare tutti insieme. Era uno dei rari momenti della settimana in cui si concedevano degli svaghi, lontani dalle fatiche del mare.

Uno dei canterini più bravi era un certo Baratieri, che tornato dall’America aveva aperto in via Marconi, un locale chiamato: “La Tenda Rossa”.

Una sua famosa filastrocca canterina recitava:

 “Vieni su Nènè e tu con me andremo sulla luna a trovare fortuna; andremo nelle stelle a vedere le più belle, vieni, vien, vieni vien che l’avvenire ti farà bèn…”

Baratieri aveva ideato questa filastrocca che cantava ai marinai che frequentavano la sua osteria e voleva essere un canto di buon auspicio per un pesca fortunata.