Le Colonie Estive
ARCHEOLOGIA RECENTE e CONTENITORI DI MEMORIA:
il mare come cura per i bambini
Le colonie estive disseminate lungo tutta la penisola italiana e in modo particolare localizzate lungo la costa romagnola, sono edifici che hanno rappresentato la meta per migliaia di bambini, che per la prima volta lasciano la propria casa per intraprende un’esperienza di “vacanza” che mai prima nella storia era accaduta. La vacanza è una forma di svago che è nato in seguito ad una serie di cambiamenti sociali e di infrastrutture dell’accoglienza di cui le colonie possono essere considerate fautrici di una prima forma di turismo di massa. Infatti esse erano capaci di spostare una moltitudine di persone verso la costa romagnola.
La colonie marine o estive, oggi in gran parte abbandonate a se stesse, rappresentano una delle forme più recenti di archeologia del Novecento. Per generazioni migliaia di bambini hanno soggiornato presso le colonie in estate e questo per tanti è divenuto un vero e proprio rito di passaggio, capace di suscitare emozioni indimenticabili: ricordi piacevoli ma anche tristi, sentirsi partecipi di qualcosa di importante ma anche soffrire per il distacco dai genitori a molti chilometri da casa per la prima volta nella loro vita. Pertanto le colonie oggi possono essere considerate strutture di archeologia recente, ma anche contenitori di memorie, in cui è racchiuso il costume e la consuetudine economica e sociale delle famiglie di quell’epoca che per oltre mezzo secolo hanno scritto pagine di storia italiana.
La fine dell’esistenza e dell’utilizzo delle colonie estive la si colloca a partire dagli anni Sessanta e Settanta del Novecento ed è dovuto al progressivo miglioramento del tenore di vita delle famiglie italiane in seguito al boom economico. Le mutate e migliorate condizioni economiche delle famiglie ha consentito di trascorrere insieme ai propri figli le vacanze nelle pensioni o primi alberghi nati sulla costa adriatica romagnola.
Enzo Biagi noto scrittore e giornalista ricorda così il suo soggiorno presso la “Decima Legio” di Miramare di Rimini durante gli anni Trenta: << ricordo quel viaggio verso la colonia come uno dei miei primi traumi infantili e il difficile distacco dalla mia famiglia. I vagoni del treno avevano i sedili di legno, le madri sui marciapiedi sventolavano i fazzoletti piangendo >>.
Questa è una delle tante testimonianze di quelli che erano all’epoca dei bambini ed oggi da adulti ricordano ancora quell’esperienza come qualcosa che gli ha permesso di crescere, in maniera a volte più o meno traumatica, ma che li ha comunque fortificati, affrontando quella che era la loro grande prova, arrangiandosi per diverse settimane senza l’aiuto o la presenza dei genitori. Quasi tutti i bambini alla fine di questo impegnativo soggiorno erano infine contenti di tornare a casa, di rivedere le proprie famiglie ed era istintivo cantare in allegria, perchè liberi dal quel periodo alle colonie che terminava.
A partire dagli anni Settanta dell’Ottocento sono le malattie dovute a condizioni di scarso igiene e povertà a rendere il popolo italiano cagionevole e la vita precaria. Le malattie polmonarie, la pellagra, la deficienza toracica, il rachitismo e tutte le malattie dovute alla malnutrizione e allo scarso igiene rappresentano una vera e propria piaga per la gente dell’epoca. Ed è in questo contesto che nascono i sanatori per la cultura del corpo e della salute, promossi da medici e filantropi che vedono nel mare un ambiente salubre e curativo. Giuseppe Barellai uno dei più rinomati medici e filantropi dell’epoca già da metà Ottocento, diffonde il suo pensiero attraverso l’idea che gli ospizi di mare siano veri e propri luoghi di cura per i bambini, che rappresentano il futuro dell’Italia. Sulle spiagge dell’Emilia Romagna vengono costruiti edifici di notevoli dimensioni, realizzati da privati illuminati o dalle amministrazioni comunali. All’inizio del Novecento si arrivano a costruire una cinquantina di ospizi di mare su tutto il territorio nazionale. I bambini che ne traggono beneficio e che vengono curati sono migliaia. Gli ospizi e le pratiche di mare sono da considerarsi elementi pioneristici del turismo balneare. A Rimini nel 1907 viene inaugurato il sanatorio “Comasco”, per la cura degli scrofolosi poveri provenienti da Como. Poco distante, nel 1912 entra in funzione l’ “ Ospizio marino provinciale bolognese”, enorme struttura costituita da 8 padiglioni collegati tra loro, con una capacità ricettiva di 400 posti letto, che successivamente verrà intitolata ad Augusto Murri, ritenuto uno dei padri fondatori ed un luminare delle medicina positivista, nonchè direttore dello stabilimento idroterapico di Rimini.
Durante gli anni Venti e Trenta, migliaia di ragazzi tra i 6 e i dodici anni si spostano dalla propria casa per trascorrere la prima “vacanza” della loro vita. Questa vacanza è offerta dallo Stato italiano gratuitamente e le famiglie meno abbienti si sentono meno screditate o svantaggiati rispetto alle famiglie più ricche che già da anni possono permettersi di godere dei benefici del mare nelle loro ville private costruite lungo la costa. Finalmente anche le famiglie meno abbienti possono far godere ai propri figli gli svaghi che un tempo erano riservati solo ai ricchi.
Questi edifici di dimensioni notevoli sono di forte impatto emotivo per i bambini che le vedono per la prima volta, infatti le testimonianze delle persone che vi hanno soggiornato e sono tutt’ora in vita, ne descrivono lo stupore e la meraviglia di fronte al gigantismo delle colonie che agli occhi di un fanciullo venivano percepite come qualcosa di incredibile. La costruzione di edifici così imponenti e di impatto, era stata possibile poichè in quell’epoca non esistevano vincoli progettuali e questo ha permesso ai progettisti di sbizzarrirsi nella progettazione di edifici che si diversificavano totalmente dagli edifici classici o comuni delle città. Spesso questi edifici, che seguivano il filone del futurismo e che dovevano trasferire l’idea di forza e di uno Stato potente come quello di epoca fascista, si rifacevano ad elementi costruttivi e di progetto, che riprendevano l’architettura delle navi, locomotive, aerei e sommergibili.
L’effetto scenografico delle colonie degli anni Trenta era sviluppato attraverso la monumentalità delle forme e la dimensione degli edifici che dovevano comunicare che il regime fosse in grado di prendersi cura dell’infanzia attraverso queste strutture all’avanguardia. In quegli anni infatti la maggior parte delle famiglie italiane vive in piccole case dagli spazi angusti, senza nessun tipo di comfort e per i propri figli trascorrere per la prima volta l’esperienza della colonia in questi edifici magnifici, comunicava la generosità del regime. L’impatto emotivo e psicologico di questi bambini veniva segnato in maniera indimenticabile.
Alcuni esempi di questi edifici messi a disposizione per il popolo sono: “Le Navi” di Cattolica sede dell’attuale Acquario, la “Torre Balilla” di Marina di Massa, la futuristica “Villa Rosa Maltoni Mussolini” in località Calambrone lungo la costa pisana…
Mariangela che fu ospite della colonia “Le Navi” di Cattolica durante l’estate del 1938, le ricorda così: << stampata nella mia mente, la vista della colonia al mio arrivo. Era tutto un vetro splendente: com’era bella e grande!. Era proprio una nave circondata da piccole barchette. >>.
Laura ospite della stessa struttura per tre estati dal 1937 la ricorda così: era un’opera d’arte meravigliosa in tutto >>.
Lo stupore e la meraviglia che questi edifici suscitavano nei bambini, facevano parte del piano propagandistico del fascismo, che attraverso questa magnificenza indottrinavano i più piccoli già in tenera età. Statue, motti, fotografie richiamavano continuamente ai piccoli ospiti e ai visitatori adulti la figura del duce e il credo fascista. Questi edifici che hanno forte impatto sui bambini, più predisposti ad essere plasmati e affascinati, hanno una forte presa anche verso gli adulti. Infatti anche il mondo degli adulti e dei genitori viene stupito, dall’efficienza e dalla modernità del regime che si traduce in queste strutture, nelle colonie. La rapidità con cui vengono realizzate e costruite tramette negli adulti un’efficienza estrema.
La colonia “Le Navi” viene realizzata in soli 9 mesi ed è un vero e proprio capolavoro di architettura razionalista.
Per la colonia Novarese sono sufficienti 120 giorni per terminarne la costruzione, che dal 1934 è capace di ospitare 1000 bambini. L’anno precedente nel 1933, viene inaugurata la “Torre Balilla” di Marina di Massa per i figli degli operai e degli impiegati della FIAT. Le colonie contribuiscono insomma ad accrescere il mito dell’efficienza e della rapidità promosso dal regime. Questa velocità è possibile grazie alla rapidità di rilascio dei permessi di costruzione e di concessione e dall’assenza di vincoli una volta raggiunta l’intesa tra committente e autorità politica. Altro fattore che gioca a favore della rapidità è l’utilizzo di nuovi materiali da costruzione innovativi, che trovano largo impiego in questi colossali monumenti e sono principalmente: ferro, vetro e calcestruzzo armato. In modo particolare quest’ultimo permette di coprire in maniera rapida vaste superfici, con ridotti tempi di esecuzione. In quegli anni erano possibili per la costruzione delle colonie, tre turni di operai a ciclo continuo che lavoravano senza sosta. Nel 1934 nel cantiere della “Novarese” lavorano 150 operai 24 ore al giorno, ininterrottamente.
Nel tratto di spiaggia tra Ravenna e Cattolica, che rappresenta il sito a più alta densità di colonie di tutto il territorio nazionale, i censimenti rilevano 247 colonie ancora esistenti negli anni Ottanta del Novecento, di cui l’1,2 % viene costruito prima del 1915, l’1,4% tra il 1915 e il 1945 e l’85% nel dopoguerra. Per 90 chilometri di costa romagnola si costruiscono un numero elevatissimo di colonie. Questo è dovuto al fatto che Mussolini essendo di Predappio e quindi amante della Romagna sua terra natia diviene in maniera stereotipata e mitizzata come grande padre spirituale dei fanciulli, vigile e premuroso verso i bambini italiani delle colonie ed in modo particolare predilige la costa romagnola per la costruzione di questi edifici grandiosi. Nell’immaginario collettivo dell’epoca le spiagge romagnole vengono viste e percepite come: la “spiaggia del duce”.
Nel dopoguerra gli edifici si discosteranno dalla concezione costruttiva del regime, attraverso dimensioni più ridotte degli edifici e distribuzione dei locali interni per rispondere ad una nuova funzione prettamente pedagogica. L’intento è quello di cancellare ed abbandonare lo stile monumentale e razionalista in modo da eliminare i segni del fascismo. Cambiano anche i nome sempre per lo stesso motivo, la “Decima Legio” di Riccione cambia il nome e diviene “Bolognese. L’opera di “bonifica” e cancellazione della memoria del regime, coinvolge le facciate degli edifici dai quali vengono eliminati elementi architettonici come ad esempio i fasci littori o le iscrizioni del fascismo, come le gigantesche “M” inneggianti il duce. Nessuna traccia del fascismo rimane oggi in questi edifici coloniali.