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Maltempo, burrasche e Draghi

L’esperienza dei marinai

Cattolica vista dalla passeggiata rialzata che parte dalla piazzetta del tramonto

Cattolica vista dalla passeggiata rialzata che parte dalla piazzetta del tramonto

Prima di prendere il mare, occorreva essere in possesso delle capacità, delle informazioni e avere l’esperienza necessaria. Bisognava premunirsi contro quello che rappresentava uno dei maggiori pericoli della navigazione: il maltempo, che non sempre era considerato un evento naturale, ma a volte veniva attribuito all’intervento di potenze o attività demoniache o malefiche. I componenti delle marinerie e le loro famiglie per potersi difendere da questa eventualità, ma anche da tempeste e burrasche, dovevano possedere un bagaglio di conoscenze basate su una cultura marinara specifica, frutto delle osservazioni e dell’esperienza delle precedenti generazioni, che tramandavano oralmente i saperi di padre in figlio.

L’imprevedibilità in mare dovuta al tempo e alle condizioni del mare, esponevano i marinai al rischio di incappare in improvvisi mutamenti metereologici, il cui moto ondoso poteva avere conseguenze drammatiche con perdita della barca e degli uomini dell’equipaggio. Per potersi in qualche modo tutelare ed evitare di uscire in mare, in condizioni metereologiche non ottimali e mutevoli, occorreva fare previsioni del tempo.

Veniva osservato il cielo: la sua trasparenza, la sua luminosità, venivano osservate le nubi e la loro altezza, forma, il loro corpo, la direzione e la velocità del loro moto. Se dal loro ventre oscuro nascevano “le code del diavolo”, queste erano un presagio della nascita di probabili trombe marine. Importante era osservare anche il vento, la sua direzione e il modo in cui spirava, il suo peso, il suo odore e il suo fruscio. Lo leggevano lontano nelle increspature che inscurivano la superficie del mare e ne ascoltavano il fragore, quando di notte giungeva improvviso e bisognava ammainare le vele, prima che fosse troppo tardi.

Ogni piccolo particolare diceva qualcosa sul tempo: i pesci non abboccavano più all’amo, una piccola mosca che compariva all’improvviso, un odore di campagna incomprensibile in mezzo al mare. I vecchi, che dormivano poco e si alzavano la notte per osservare l’orizzonte e gli “scuri”, se c’erano ed erano presenti anche i lampi, loro capivano che qualcosa di grave stava per arrivare. Nei cortili si osservava il comportamento degli animali e si notava il variare delle esalazioni delle fogne.

Nelle estati dal 1890 al 1913 il Prof. Mugna, dell’osservatorio del Palazzo degli Studi di Forlì e l’appassionato di metereologia Livio Pasini furono in contatto giornaliero con la comunità dei pescatori di Cattolica, per il confronto sistemico delle previsioni dei pescatori stessi con quelle dedotte dagli strumenti dell’osservatorio e dalle notizie telegrafiche di altri osservatori. Il confronto fu sorprendente,  poichè le previsioni scientifiche furono più volte precedentemente confermate anche dalle previsioni dei pescatori, che scrutavano i segnali della natura.

LA TROMBA MARINA:

All’avvicinarsi della tromba marina, fra i marinai romagnoli era ancora vivo fino a pochi anni fa, l’uso di calarsi le braghe e mostrare il sedere alle turbine, credendo che schernirlo servisse a metterlo in fuga. Tale gesto di scaramanzia, che avrebbe fatto allontanare o sciogliere la tromba marina, doveva essere compiuto dal marinaio primogenito della famiglia.

La tromba marina ha assunto nel nostro paese numerosi nomi, la maggior parte delle quali riconducibili all’immagine di un mitico e mostruoso essere dalle sembianze di drago o serpente gigantesco.

Nel simbolismo, nell’immaginario e nella cultura d’ancien règime si assumeva spesso il drago come rappresentazione del temporale, dell’uragano, dei fenomeni atmosferici più violenti, comprese le trombe marine. Nel dialetto romagnolo, l’uragano e il drago sono accomunati dalla medesima parola con cui li si designa: règan. Nel dizionario romagnolo del Mattioli, bessabòva sta per turbine, tifone.

Per ingraziarsi il Drago o scongiurare il pericolo, non mancavano riti previsti dalla tradizione dei marinai e pescatori romagnoli. I marinai nell’intento di scacciare le trombe marine, pronunciavano alcuni detti marinari e contemporaneamente brandendo in aria un coltello con il manico nero tagliavano l’aria con gesti decisi, in modo da spaventare il drago. I marinai credevano che vibrando una coltellata decisa in direzione del vortice, questi possono essere tagliati nel punto in cui si sollevano dalle acque formando un nodo. Il metodo simbolico del taglio con il coltello, era diffuso in varie parti delle coste adriatiche.