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Paura all’orizzonte

La flotta inglese in Adriatico,

1800-1815

 

Vi fu un periodo all’inizio dell’Ottocento in cui l’stile presenza della marina inglese (Royal Navy) si sostituì alla secolare minaccia della pirateria turca e barbaresca, con la differenza che in questo caso non ci si trovò a far fronte a scorrerie di tipo piratesco o corsaro, ma a veri atti di guerra.

Quando un veliero da guerra appariva all’orizzonte con l’apertura delle bianche ali di tela e il sovrapporsi di sartie e antenne, dava l’impressione di essere un minaccioso, temibile e splendido insetto da cui rimanere affascinati ma anche atterriti. Dobbiamo figuracelo mentre scivola sulle onde nel silenzio sospeso delle vastità marine e trasformarsi improvvisamente in un micidiale ordigno dalla micidiale potenza di fuoco.

I velieri della Royal Navy facevano parte della flotta più temuta dell’Adriatico, ma anche di tutti i mari. All’arrivo dei velieri armati inglesi e al solo udirne il rumore persino gli uccelli smettevano di volare sull’acqua. Al cospetto di simili navi anche gli abitanti romagnoli e della costa adriatica, ritenevano una vanità affrontarli in una battaglia, preferendo salvare la pelle e nascondersi sulle colline. Il 19 luglio del 1803 da Cesenatico alla vista della flotta inglese nello specchio d’acqua antistante il porto, la popolazione osservò con un potente cannocchiale l’avanzata di questa possente e imponente flotta:

Davanti alle alture di Cesenatico, Cervia e Rimini, è comparsa una flotta inglese, e di sera si sono avvicinate piccole barche vicino ai porti a misurare la profondità delle acque in modo da avvicinare la flotta alla costa senza arenarsi. Proprio dai velieri componenti la flotta, successivamente hanno sparato varie cannonate per piegare all’obbedienza i pescherecci e gli abitanti di costa costretti a sottomettersi agli inglese che avevano 30 velieri da guerra più altre 15 fregate più piccole che sembravano un’isola in mezzo al mare.

Questi frequenti episodi oltre a rimarcare il controllo dei mari da parte degli inglesi, con dimostrazioni di forza da parte del numero di velieri e relativa potenza di fuoco, erano spesso occasioni per avvinarsi alle coste difese debolmente, per intimorirle e farsi consegnare senza trovare opposizione, merce, vettovaglie e materiali necessari alla manutenzione delle navi impegnate in continui conflitti marittimi con i francesi.

Nel 1811 si racconta che una nave inglese dopo aver depredato una barca di sapone al largo di Cervia, abbandoni la presa e venga messa in fuga dall’arrivo della Guardia Nazionale italiana, composta da due imbarcazioni composte da sessanta uomini a bordo. Questo evento rappresenta un’eccezione e un caso raro in cui le forze italiane adriatiche riescano nell’impresa di scacciare gli inglesi. Infatti la differenza di potenza tra le navi inglesi e quella rappresentata dalla difesa costiera, avevano un divario enorme e nella maggior parte dei casi gli inglesi avevano la meglio sugli avversari.

La strategia degli inglesi era impaurire i paesi affacciati sulla costa con la sua imponente flotta e neutralizzare qualsiasi ostilità nei loro confronti, e una volta a terra depredare indisturbati le località costiere. Gli obiettivi erano sempre gli stessi: eliminare le armi di difesa del nemico e distruggere il telegrafo per impedire un coordinamento delle difese a terra mentre la flotta si sposta con rapidità da un porto ad un altro.

La padronanza quasi assoluta dei mari da parte della flotta inglese fu resa possibile da quei formidabili strumenti da guerra che erano i velieri armati di cannoni. Era uno strumento di eccezionale efficacia che permetteva ad un equipaggio relativamente ridotto di spostarsi con la forza del vento attraverso le enormi vele e sprigionare un’energia di fuoco devastante e distruttiva attraverso i cannoni.

Le due navi principali della flotta inglese erano principalmente due: La fregata e il vascello.

La fregata era un bastimento snello, agile, di taglio acuto e adatto alla navigazione veloce, misurava circa 40 metri con un peso che va dai400/500 tonnellate, era armato da 40/50 cannoni e aveva una velatura a tre alberi.

Il vascello era un imponente veliero dotato di 60 fino a 100 cannoni, lungo più di sessanta metri, armata di tre alberi tutti con vele quadre. Era incredibilmente robusta, le chiglie in rovere erano di 65/70 centimetri, le costole di circa 30 centimetri.

Sembra incredibile pensarlo oggi, noi abituati ai pedalò e ai pattini rossi dei bagni, ma un tempo i nostri mari erano solcati da questi giganteschi velieri pronti a far fuoco sulla costa romagnola.

Il 31 maggio del 1809 quattro fregate e un vascello inglese sono segnalati al largo di Rimini e il 19 maggio la stessa flotta è avvistata al largo di Gabicce Mare, con una velocità di circa 7 nodi in direzione Pesaro. Fra le undici del mattino dello stesso giorno iniziano un fierissimo cannoneggiamento che si sarebbe protratto fino al giorno successivo provocando gravi danni alle abitazioni civili e non solo. A nulla servì il fortino (Torre Massimiliana) che i francesi avevano costruito l’anno prima all’imboccatura di Pesaro. Messa in fuga la guardia le barche inglesi che entrarono a Pesaro e con la fanteria danneggiarono lo squero, i magazzini e uscirono dal porto con a traino dodici barche da olio.

Gli italiani e i francesi affrontarono per anni la Royal Navy, con continue sconfitte dovute al fatto che gli inglesi erano superiori come numero di vascelli (400 contro 250) e gli equipaggi erano molto più preparati ed esperti.  I continui successi inglesi portarono la Royal Navy a diminuire la frequenza e l’aggressività delle proprie incursioni sulla costa romagnola ed adriatica, perché non vi era più motivo di incutere terrore a popolazioni già vinte.

Al diminuire delle incursioni militari si riscontrò invece un ritorno all’attività corsara svolta su barche da pesca armati per poter assalire i malcapitati.

Ci vorranno ancora degli anni prima che l’Adriatico diventi quello che conosciamo, un mare tranquillo dal fondale basso e sabbioso in cui nuotare e rinfrescarsi nelle calde giornate estive.