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Pellegrino Artusi

Unità d’Italia a tavola

Nacque il 4 agosto 1820 a Forlimpopoli, dal mercante Agostino detto << Buratèl >> (in dialetto romagnolo: piccola e veloce anguilla) e dalla quieta e parsimoniosa Teresa di Bertinoro.

Agostino decise di aprire una drogheria e gli affari da subito andarono bene. Pellegrino seguì le orme del padre nel commercio affiancandolo nella drogheria. Ma allo stesso tempo, coltivò l’interesse per lo studio e la cucina.

A Forlì incontrò un maestro privato, che gli infuse l’amore per lo studio per la grammatica italiana, nozioni di retorica, filosofia, elementi di geografia, il galateo di Melchiorre Gioia e infine lo studio della Divina Commedia, che proseguì da autodidatta imparando a memoria l’Inferno, il Purgatorio e i passi più splendidi del Paradiso.

Attraverso contatti diretti e contatti postali, ebbe accesso a una miniera di ricette, che da solo e successivamente con l’aiuto di due collaboratori, sperimentava, inserendo variazioni del tutto personali, sempre all’insegna del << mangiar bene >>, sfruttando prodotti genuini e naturali.

Si dedicò con passione alla lettura dei classici e alla cucina e con i suoi collaboratori: la cameriera toscana Marietta Sabatini e il cuoco Francesco Ruffilli, ogni giorno provavano e riprovavano un piatto, trascrivendone le ricette, rivedute e corrette, in un manuale.

Il suo famoso ricettario pubblicato nel 1891, La scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene, è il compendio di numerose ricette che lui cercava di persona o riceveva per posta da tutte le regioni d’Italia. Il manuale gastronomico, scritto in lingua scorrevole e anche divertente, << alla fiorentina >>, si diffuse velocemente e fece sì, che si creasse, o si rafforzasse, l’identità italica attorno alla tavola. Nel ricettario sono raccolte ben 790 ricette da tutta Italia.

I veneti cominciarono a preparare piatti originari della Campania, i siciliani presero in considerazione, davanti ai fornelli, l’uso di erbe e spezie toscane, e così via. Con il ricettario di Artusi, caddero i confini regionali della cucina e si formò una commistione di sapori che arricchì le potenzialità e la fantasia culinaria delle famiglie e dei cuochi di allora e dei decenni successivi.

Non mancano specialità di pesce provenienti dal nostro Mare Adriatico, come le anguille di Comacchio, che secondo Pellegrino sono le migliori d’Italia. Si mangiano alla griglia o in umido con salsa di pomodoro, aceto, aglio, cipolla, olio, sale e pepe, abbinate a un calice di vino.

Non furono solo Garibaldi, Cavour e le truppe piemontesi a unificare l’Italia. Un ruolo assolutamente non marginale lo ebbe anche << il padre della cucina italiana >>.

Artusi insegnò, prima agli italiani e poi a tutto il mondo, l’arte degli avanzi: in cucina, sosteneva, era un peccato mortale sprecare qualcosa.

La sua vita ebbe due città importanti nella sua vita: per trent’anni visse nella sua natia San Rufillo di Forlimpopoli e per sessantuno anni a Firenze. Della sua regione natia, conservò sempre i tratti essenziali: la cordialità, il senso della lealtà e dell’ospitalità, l’arguzia, la propensione all’umorismo, la vitalità, l’intraprendenza, la simpatia, l’altruismo e il disinvolto apprezzamento dei piaceri del corpo e della mente.