Una storia incredibile
L’Isola delle Rose
L’ingegnere Giorgio Rosa fu un uomo anarchico e rivoluzionario, con il sogno di realizzare un mondo nuovo, libero da qualsiasi giurisdizione, fu l’ideatore dell’Isola delle Rose.
L’idea del progetto dell’ing. Rosa nacque in un momento storico di forte cambiamento culturale e voglia di liberarsi dai vecchi dogmi del passato, in una società che aveva sofferto per le guerre, per le battaglie politiche e ideologiche e che voleva liberarsi con leggerezza e il desiderio di sognare un futuro migliore per il genere umano. E’ in questo contesto storico, che l’idea dell’ ingegnere bolognese prende forma e si tramuta in qualcosa di unico nella storia d’Italia. L’ing. Rosa aveva il sogno di creare un’isola in cui ci fosse una libertà vera e in cui le persone intelligenti fossero premiate per le loro capacità. Così, in seguito a numerose ricerche e documentazioni riguardanti le isole inglesi al di fuori delle acque territoriali e interpellando procuratori della Repubblica italiana e il professor Sereni, ritenuto un luminare in campo del Diritto internazionale, l’ing. Rosa si convinse di portare avanti la sua idea di realizzare una propria isola in mezzo all’Adriatico. All’età di 43 anni, con una carriera da ingegnere e da docente già ben avviata, la sua idea nasce principalmente nei momenti liberi dalla professione e si traduce nel brevetto n. 1799/A/68. Il brevetto è tutt’ora qualcosa di unico e straordinario, frutto di una mente geniale. Infatti per realizzare il progetto, l’ingegner Rosa, studiò un telaio di tubi in acciaio bel saldati tra loro e con le bocche di ogni tubo chiuse, in modo da poterle trasportare galleggiando in mare fino al punto prescelto in cui poi si sarebbe fissata l’intera struttura. Il punto scelto per la costruzione di questa opera unica nella storia, fu di fronte a Rimini nelle acque internazionali, con la prospettiva di poter sfruttare la nuova autostrada che da li a poco sarebbe entrata in funzione a servizio di tutta la provincia riminese. Era anni in cui la riviera era sempre più lanciata verso il boom economico.
La progettazione dell’isola e il brevetto non furono facili e ancora più complessa fu l’attuazione del progetto, che rappresentava un progetto unico che nessuno aveva mai realizzato e che era influenzato quindi da tantissime variabili, imprevisti legati alle condizioni meteo e modifiche del progetto in corso d’opera con costi che lievitavano ad ogni minimo passo falso. Ma l’ing. Rosa non si perse d’animo e proseguì, magari rallentando in qualche periodo, ma sempre con il desiderio di portare avanti il progetto e realizzare la sua isola della libertà. Studiò dettagliatamente ogni aspetto, sviluppando una significativa cultura navale, scegliendo i mezzi più adatti a poter trasportare materiali e strutture in mare e studiando tutto ciò che riguardava il diritto internazionale in modo da avere il premesso a poter costruire fuori dalla acque territoriali italiane. Questo limite all’epoca per l’Italia era di 6 miglia nautiche dalla battigia (più di 10000 metri).Oltre a studiare teoricamente ogni aspetto attraverso libri e documentazioni, l’ing. Rosa si recò personalmente nei luoghi, che per caratteristiche costruttive, riteneva potessero aver delle similitudini con la sua idea di piattaforma in mezzo al mare. Per questo motivo visitò alcune piattaforme petrolifere nei pressi di Ravenna e qui potè carpire e studiarne il sistema di infissione e ancoraggio dei pali prefabbricati in alto mare. Per trovare la posizione esatta su cui far sorgere la sua piattaforma o isola, a 6 miglia esatte dalla costa, utilizzò il grattacielo di Rimini e il faro del porto come punti di riferimento. Dopo aver appresso tutte le conoscenze necessarie affinchè il progetto potesse partire in maniera fattibile, nell’estate del 1960 affittò a Rimini un capannone in cui il progetto cominciò a prendere forma. Utilizzando un motoscafo in acciaio, da lui stesso costruito, si recava in mare per effettuare prove o misurazioni. Attraverso i sondaggi in mare constatò che il tirante di acqua in mare era di 13,40 metri. Le operazioni in mare iniziavano ad essere più consistenti e quindi, l’ingegnere, acquistò anche un mototopo veneziano a Chioggia, in grado di trasportare con sicurezza una buona quantità di materiale in mare.
I rilievi e le prove continuavano a buon ritmo e con perizia, in modo da avere la quasi totale certezza che una volta trasporti i tubi e tutte le componenti della intera struttura non ci sarebbero stati intoppi o errori.
Altro aspetto non trascurabile ai fini della logistica dell’intero progetto, fu contattare la Capitaneria di porto di Rimini e Ravenna, affinchè gli concedessero i permessi per gli spazi in banchina e per i rifornimenti di gasolio, che essendo fuori dalle acque territoriali erano esentasse. Ottenuti i permessi, l’ingegner Rosa, incaricò la Dalmine, la più grande ditta di tubi in Italia, di costruire un traliccio di tubi trafilati. Tutte le parti furono spedite a Pesaro per essere saldate e assemblate. Il 14 luglio del 1964 a Pesaro, alla presenza del Sig. Gennari proprietario della Dalmine, l’imponente struttura tubolare era terminata e pronta al varo. L’idea geniale brevettata dall’ing. Rosa, consisteva principalmente in 9 tubi del diametro di 630 mm, chiusi in entrambe le estremità. Così pensati, quest’ultimi potevano essere trasportati galleggiando sul mare, trainati da alcune imbarcazione, senza troppe difficoltà. Giunti sul posto prestabilito, ogni tubo prevedeva una saracinesca apribile in una delle estremità, che aprendosi imbarcava acqua, iniziando a sprofondare e conseguentemente man mano si raddrizzava in verticale. Una volta che ogni tubo raggiungeva la quantità d’acqua necessaria a renderlo completamente verticale e a farlo sprofondare dall’estremità aperta sul fondale, si poteva poi procedere a montare delle putrelle in testa ad ogni tubo per poterle definitivamente fissare e ancorare. Questa operazione si concluse il 31 luglio mattina e in quella giornata si riuscì ad appoggiare la struttura sul fondale. L’ancoraggio definitivo a differenza del trasporto dei tubi, che era stato relativamente agevole, procedette lentamente e con non poche difficoltà. Nel frattempo l’inverno era alle porte e la struttura non era ancora ancorata sul fondo. Il 13 febbraio una burrasca impetuosa rovesciò l’intera intelaiatura.
Solo il costoso intervento della Società Adriatica di Ancona, riuscì egregiamente a raddrizzarla, tra il maggio e il giugno del 1965. Risolto il problema che avrebbe potuto compromettere il progetto, l’ingegnere firmò nello stesso anno un contratto con l’impresa Ferrari di Casalecchio di Reno, per l’ancoraggio dell’intera struttura. I lavori procedettero più o meno velocemente in base alle condizioni del mare e per la difficoltà di reperire operai. Il 21 maggio del 1966, l’ingegner Rosa riuscì a dormire per la prima volta sulla struttura.
Quando il cantiere in mezzo al mare sembrava procedere senza grossi intoppi e anche il mare in qualche modo permetteva di poter lavorare, un altro ostacolo questa volta non legato alla natura si presentò ad interferire sui lavori. Il colonnello Sanguinetti della Capitaneria di porto di Rimini, contattò l’ingegner Rosa, per ordinare la cessazione dei lavori. Anche il capo della polizia riminese, chiese spiegazioni al riguardo di questo progetto mai realizzato prima e che destava non poche preoccupazioni da parte delle autorità e politici. Il progetto raggiunse l’interesse nazionale quando anche alcuni settimanali o riviste, come: “Epoca”, “Novella 2000” si interessarono alla vicenda attraverso pubblicazioni di articoli.
Nonostante questi intoppi, il progetto essendo totalmente innovativo e svincolato da regolamenti, procedette, poiché nessuna legge in quegli anni vietava espressamente di costruire un manufatto di quel genere in acqua internazionali, anche se era il primo nella storia italiana.
Il 20 maggio 1967, alla profondità di 280 metri da piano di calpestio dell’isola artificiale, venne trovata acqua dolce. Una scoperta importante e fondamentale a rendere l’isola indipendente dal punto di vista idrico.
Nello stesso anno il colonnello Sanguinetti della Capitaneria di porto di Rimini, minacciò nuovamente di far interrompere i lavori, ma l’ingegnere riuscì nuovamente a evitare che questo accadesse e a proseguire presentando una relazione informativa dei lavori.
Il 20 agosto del 1967, iniziarono ufficialmente le visite dell’isola da parte di amici o conoscenti. La struttura, non senza intoppi, iniziò ad essere praticabile. Sui pali era stato gettato infatti un piano in laterizio armato alto 8 metri sul livello del mare, su cui furono eretti dei muri che delimitavano i vari vani. Su 400 metri quadrati si superficie si prevedevano di costruire cinque piani (ne furono costruiti solo due). Fu realizzata un’area di sbarco, che avveniva tramite banchine e scale.
Quando sembrava che tutto procedesse nel migliore dei modi, il 25 giugno 1968, in pieno contrasto con le leggi internazionali, la Polizia, i Carabinieri e la Guardia di Finanza, con sette pilotine circondarono l’isola e la occuparono militarmente. Cominciò così l’occupazione italiana della libera Isola delle Rose, che nel frattempo aveva istituito una propria costituzione ed un governo proprio. Da questo evento in poi la politica italiana decise che l’isola rappresentava un problema e attivò ogni mezzo per ostacolarne lo sviluppo, attraverso controlli, occupazioni e impedendo all’ingegner Rosa di poter salire o attraccare all’isola.
La fattibilità dell’isola era solo un lontano ricordo, infatti ora l’isola della libertà era reale, era stata realizzata, aveva un’organizzazione interna, una propria lingua (l’esperanto), un proprio francobollo e servizio postale, una propria bandiera, ma per lo Stato italiano tutto questo rappresentava una seria minaccia, un precedente da estirpare.
L’ingegner Rosa lottò affinchè l’isola potesse sopravvivere, contattando il Presidente della Repubblica italiana, protestando attraverso lettere consegnate all’Ufficio ricorsi del Consiglio di Stato. In tanti si interessarono e sposarono la causa dell’Isola: Radio Monteceneri e il dott. U.Lazzari, l’avv. Grassani, l’avv. Marchesini, l’avv. Praga, i giudici Cuonzo e Gaia…
Ma nonostante le richieste e le proteste, il 30 settembre 1968, il Governo italiano fece un preventivo di demolizione dell’isola stimato sui 30 milioni di lire.
Il 29 novembre 1968 un pontone della Marina Militare italiana sequestrò e portò a terra ogni cosa trovò sull’isola e preparò le cariche esplosive per far saltare l’isola.
Le successive proteste o richieste di interpellanza e le mareggiate servirono solo a ritardare un destino già scritto per l’isola.
L’11 febbraio 1969 l’sola venne minata con 75 kg di esplosivo per palo, ma non cedette. Dopo alcuni giorni venne nuovamente minata, questa volta con 120 kg di esplosivo per palo. Si deformò, ma non cedette ancora. Il 26 febbraio 1969 le burrasche e le mareggiate fecero scomparire l’sola sotto le sue acqua. Arrivò l’ufficialità della distruzione dell’isola attraverso la comunicazione della radio nel “Gazzettino Emilia Romagna” . I romagnoli diedero sostegno alla causa dell’isola attraverso manifestazioni e iniziative popolari. In uno dei loro manifesti la si celebrava come se fosse un necrologio, la “morte” dell’isola, avvenuta l’11 febbraio 1969
Non fu mai chiaro il motivo per cui lo stato si accanì contro l’Isola delle Rose, le ipotesi sono, che quest’ultima avrebbe potuto rappresentare un precedente per la costruzione di altre isole che avrebbero potuto avere scopi illegali (casinò, spaccio, clandestinità…). Qualcuno ritiene che forse anche l’Eni abbia appoggiato la demolizione sentendosi minacciata in una ipotetica estrazione del gas da parte dell’Isola delle Rose ed entrando in conflitto con i loro interessi. Quello che è sicuro è che nulla di tutto questo era nelle intenzioni dell’ingegnere Rosa, che da sempre sognava di creare la sua isola della libertà, per inseguire il suo sogno rivoluzionario.
L’Isola delle Rose resterà per sempre il primo ed unico caso in Italia, di isola artificiale eretta in acque internazionali.

L’isola delle Rose

L’ingegner Giorgio Rosa e la moglie

i francobolli dell’Isola delle Rose